I princìpi della terapia psicoanalitica

In questo capitolo non tenteremo di presentare storicamente lo svilupparsi della terapia psicoanalitica, il che è stato già fatto in altre pubblicazioni. Qui vengono descritti soltanto i princìpi della terapia, e brevemente trattata la loro speciale applicazione.

La terapia psicoanalitica mira a riparare le funzioni dell'io, il cui indebolimento si manifesta nelle neurosi e nei disordini del comportamento.

Abbiamo già detto che la neurosi non è una caratteristica diretta di un individuo, ma il risultato dell'influenza reciproca tra lui e l'ambiente. Una persona può diventare neurotica in un determinato ambiente, e rimaner sana in un altro. L'adattamento può essere raggiunto — almeno dal punto di vista teorico — o cambiando la persona rispetto all'ambiente, o l'ambiente rispetto alla persona.

Un fattore importante e già esaminato, è la capacità dell'individuo di adattarsi a diverse condizioni ambientali. Una minore adattabilità non significa necessariamente che una persona verrà colpita da neurosi, giacché la sua inadattabilità può non essere messa a repentaglio dalle circostanze della vita. Tuttavia, sarà più probabile che sia colpito da neurosi un tale individuo, che non uno che abbia la facoltà di adattarsi a condizioni mutevoli. Le persone mancanti di duttilità possono quindi considerarsi come dei neurotici in potenza. Le prime esperienze traumatiche, mutatesi in fissazioni e in ritardato sviluppo emotivo, causano la maggior parte delle neurosi croniche; ma talune di esse nascono da situazioni penose causate da circostanze esterne della vita. Questi sono i casi più acuti e sono i più facilmente curabili.

La psicoanalisi da principio venne applicata quasi esclusivamente alle neurosi croniche gravi le cui vittime venivano a consultare lo psicoanalista, quale ultima risorsa. Allorché la psicoanalisi venne più generalmente accettata, sia i casi acuti che quelli meno gravi vennero curati con tale metodo. La guerra rese necessario il trattamento psicoanalitico di molti pazienti, i quali in una vita normale probabilmente non avrebbero manifestato accentuati sintomi di neurosi. Questa maggiore varietà di pazienti, indusse ad usare una certa elasticità nell'applicazione dei princìpi psicoanalitici. Nel presente capitolo noi descriveremo il modo di applicare i princìpi fondamentali della psicoanalisi a ogni genere di neurosi. Resta da stabilire se o meno, possa chiamarsi psicoanalisi il metodo originario adottato per la cura dei casi cronici. Partiremo dal concetto che i princìpi psicoanalitici si prestano a differenti procedimenti terapeutici, i quali variano secondo la natura del caso, e possono essere variamente applicati durante la cura di uno stesso paziente.

Alcuni fattori terapeutici appaiono costantemente in ogni forma di psicoterapia.

I. Fattori universali nella psicoterapia

Appoggio morale. La neurosi implica una inadeguata sostituzione di sintomi a soddisfazioni reali; e la frustrazione è uno dei suoi inevitabili risultati. Poiché i sintomi rappresentano una repressione a precedenti forme di soddisfacimento, sorgono i primi conflitti, connessi ad esse. Ciò porta all'ansietà e al senso di colpa, che altri sintomi cercano di attenuare mediante l'autopunizione. La frustrazione è una conseguenza della inadeguatezza degli appagamenti sostitutivi, e la sofferenza è una reazione al senso di colpa, da cui nasce la necessità del castigo. A causa della frustrazione e del dolore, il paziente avverte il bisogno di essere aiutato. Egli spera di trovare sollievo nella terapia, e trova in essa l'occasione di appagare il suo bisogno regressivo di dipendenza. Ciò può ridurre la necessità di soddisfare i propri desideri mediante i sintomi; e spiega perché tutte le forme di cura in cui il medico offre il suo aiuto e dà il suo appoggio morale al paziente, possono avere un effetto terapeutico.

Appoggio intellettuale. A cagione dell'ansietà e della preoccupazione che accompagnano i sintomi, il paziente non riesce ad affrontare adeguatamente il problema pratico della vita. Allora il medico dà il suo appoggio morale e riduce l'ansietà, ponendo il paziente in grado di adoperare le proprie risorse intellettuali per affrontare i problemi pratici. Dando al paziente il modo di discutere obbiettivamente i propri problemi, il medico inoltre contribuisce alla loro chiarificazione intellettuale.

L'appoggio morale e intellettuale si riscontra, entro certi limiti, in ogni forma di cura. Esso è il risultato del fatto terapeutico medesimo, indipendentemente dalle tecniche speciali impiegate, sempre che il medico ispiri fiducia al paziente e ascolti con benevola attenzione le sue lagnanze.

Nei casi acuti, in cui il disturbo neurotico è solo una reazione a una situazione corrente, quest'appoggio è talvolta sufficiente a rafforzare le sminuite funzioni dell'io.

Sfogo emotivo. In aggiunta all'appoggio morale ed intellettuale, ogni forma di psicoterapia dà al paziente un'occasione per manifestare le proprie emozioni. Ciò serve già ad alleviare la tensione emotiva e a preparare la strada alla comprensione del caso. Il paziente diventa capace di parlare del proprio problema in modo più obbiettivo, e di considerarlo con un certo distacco. La valutazione diagnostica del caso e i tentativi terapeutici decideranno se occorre un lavoro di maggiore penetrazione in profondità. Ciò richiede una vera competenza psicoanalitica, sebbene il trattamento indicato possa non essere analitico. L'appoggio morale, la chiarificazione intellettuale del vero problema del paziente e la reazione emotiva di per se stessi non esigono necessariamente l'applicazione dei princìpi specifici della psicoanalisi.

Altre misure ausiliarie. Esistono altre misure ausiliarie, sia psicoanalitiche che non psicoanalitiche, di cui non parleremo dettagliatamente, perché esse non sono comuni a tutte le forme di psicoterapia. Tali misure consistono nel sostenere le già esistenti difese dell'io, quando cominciano a indebolirsi. I sentimenti di inferiorità, per esempio, vengono trattati col rassicurare il paziente; il senso di colpa, con l'assolvere il paziente, e aiutare i suoi tentativi di autogiustificazione. Simili misure si chiamano «misure repressive » (Knight): esse vengono usate nei casi gravi, in cui il medico non ritiene l'io del paziente capace di affrontare un sistema di scandaglio, quale esige l'introspezione.

II. Trattamento psicoanalitico

La psicoanalisi mira a effettuare dei mutamenti permanenti nella personalità, aumentando il potere integrativo dell'io. Se questi è solo temporaneamente diminuito dallo sforzo emotivo, di solito basta ridurre la tensione emotiva con un appoggio provvisorio, dando al paziente il modo di reagire alle emozioni. La psicoanalisi, però, tenta di cambiare l'io, mettendolo faccia a faccia con il contenuto represso il quale è in contrasto con la personalità totale. Essa richiede sia una conoscenza intellettuale dei conflitti non risolti, sia la loro rappresentazione emotiva. Nelle diverse fasi dello sviluppo storico della psicoanalisi, i fattori intellettuali ed emotivi sono stati variamente valorizzati. Quando Freud per primo fece degli esperimenti sulla ipnosi catartica, la componente emotiva venne accentuata. Poi seguì un periodo in cui fu data importanza particolare alla ricostruzione intellettuale delle origini della malattia. Dopo che Freud ebbe scoperto il significato delle reazioni emotive del paziente verso il medico — e cioè, il transfert — si sottolineò di nuovo l'importanza delle emozioni. Ferenczi e Rank in una notevole pubblicazione del 1925, elaborarono coerentemente il significato del contenuto emotivo del transfert; ma a causa di alcune conclusioni erronee, essa venne per molto tempo messa da parte. Gli esperimenti terapeutici dell'Istituto psicoanalitico di Chicago hanno preso di nuovo in esame il processo terapeutico, e hanno notevolmente dato rilievo al significato delle esperienze emotive durante la cura, quale principale fattore terapeutico, sia per quel che riguarda il transfert, sia in confronto di situazioni estranee alla cura. La terapia psicoanalitica moderna si basa soprattutto sulla capacità di affrontare opportunamente il transfert.

1. Introduzione alla cura

Prima di parlare dei dettagli, dobbiamo descrivere brevemente il procedimento nel suo insieme. Come in tutte le forme di medicina, il medico deve diagnosticare lo stato del paziente prima di stabilire un piano di cura. La diagnosi psicoanalitica richiede la comprensione psicodinamica dello stato del paziente. Lo psicoanalista, come il chirurgo, nella diagnosi iniziale non può esser sicuro di quel che troverà da ultimo, e deve modificare le sue vedute, per completare le scoperte già fatte penetrando negli strati inconsci della personalità. Per farsi un concetto preliminare della malattia del paziente, occorrono di solito parecchie sedute anamnestiche. In esse,..il medico chiede al paziente di descrivere i suoi disturbi, la loro origine, e ogni fatto che possa sembrargli importante, sia nel loro sviluppo che nelle circostanze presenti.

È un grande errore cominciare con le associazioni libere prima di essersi fatto — in qualche seduta preliminare — un quadro generale della malattia, della personalità e della storia del paziente. Nondimeno, anche nelle interviste preliminari, il medico potrà rendersi meglio conto delle cose se riesce a stimolare la spontaneità del paziente. Nel racconto del paziente vi sono sempre delle lacune che debbono essere colmate mediante un interrogatorio diretto, di modo che prima che s'inizi la cura effettiva il medico possa avere una giusta cognizione della storia del paziente, dello stato attuale della malattia e del suo inizio. L'analista esperto di solito non incontra difficoltà nell'ottenere dal neurotico, in poche sedute preliminari, una veduta di insieme. In molti casi è di grande aiuto avere informazioni anche dalle persone che rivestono un ruolo importante nella vita del paziente e hanno interesse ad aiutarlo. È impossibile dire in quali casi sono consigliabili interviste preliminari con altri, e in quali invece debbono evitarsi per non interferire nella fiducia che il paziente ha nel medico. Più lo stato del paziente si avvicina alla psicosi, più necessario è ricorrere all'aiuto dei parenti e degli amici. Solo dopo che il medico si è fatto un concetto completo della malattia e della personalità del paziente, può procedere al passo successivo, e cioè all'associazione libera.

2. Il metodo dell'associazione libera

Nell'associazione libera, il medico conta sulla tendenza dell'inconscio a rivelare il suo contenuto represso. Si chiede al paziente di rinunciare al controllo cosciente delle proprie idee e di abbandonarsi a una spontanea associazione libera. Una volta fatto ciò le tendenze represse cominciano a venire a galla. Freud dapprima cercò di eliminare il controllo cosciente per mezzo dell'ipnosi. Nell'associazione libera, l'ipnosi viene rimpiazzata da un'eliminazione parziale del controllo. Gradatamente, in lunghe e pazienti interviste, il paziente rivelerà una quantità sempre maggiore delle sue tendenze sinora represse. Questo processo autorivelatore può essere grandemente incoraggiato dall'atteggiamento obbiettivo del medico verso le esperienze, i desideri, le idee e le tendenze che il paziente non è stato capace di ammettere di fronte a se stesso, a cagione del loro carattere riprovevole. Egli apprende così che l'unico interesse del medico è quello di comprendere perché il paziente ha sentito o sente in un certo modo, e ciò incoraggia l'autorivelazione. L'intero processo si basa su concetti teorici già discussi nei precedenti capitoli.

L'io dello psiconeurotico adulto, che di solito è ben sviluppato, potrebbe facilmente smaltire e modificare le tendenze originarie, e potrebbe anche liberarsi di alcune di esse, se potesse soltanto individuarle. Mediante la repressione, però, l'io si separa dalla vita istintiva, e tale situazione si riflette nella diminuita quantità di energia mentale liberamente disponibile nella personalità neurotica. La repressione è una maniera di controllare gli impulsi squilibrati, più comoda che non la rimozione cosciente, il diniego o la modificazione: ma è un metodo troppo radicale. Il prezzo che il neurotico paga per tale vantaggio, è la propria salute mentale: un prezzo davvero troppo alto! Egli risparmia a se stesso la lotta penosa tra la tentazione e la rinuncia, ma facendo ciò, sacrifica la maggior parte delle energie mentali liberamente disponibili. La tecnica della terapia psicoanalitica è fondata su queste premesse.

La terapia mira a sostituire le limitazioni automatiche della repressione con un giudizio cosciente. Una vasta esperienza terapeutica ha dimostrato che ciò si può fare con gli psiconeurotici senza pericolo, poiché il loro io è capace di controllare la vita istintiva, una volta che abbiamo preso contatto con essa. Naturalmente, la rimozione della repressione grava sulla personalità cosciente con una penosa conoscenza del proprio intimo e con nuovi problemi, dai quali nasce il conflitto cosciente. Essa aumenta inoltre la responsabilità della personalità cosciente, con l'estendere la sua attività a settori sinora inconsci della vita mentale. Questo è tuttavia il solo modo di modificare quegli stati dinamici della personalità da cui provengono le psiconeurosi.

Sino a che le tendenze restano inconsce, esse non possono subire modificazioni o sublimazioni, giacché la sublimazione è proprio il risultato del fondersi degli impulsi originari con l'ambiente, e dell'adattamento alla realtà esterna. L'io cosciente è la parte della personalità che è in contatto con l'ambiente. Tutte le esigenze istintive e i desideri esclusi dalla coscienza restano infantili e isolati dalle influenze ambientali poiché non possono subire quelle trasformazioni da noi chiamate «adattamento alla realtà ». La repressione rende impossibile l'adattamento degli istinti. Quando è stato sopraffatto, l'io può modificare e sublimare l'energia mentale spesa nei sintomi psiconeurotici.

Abbiamo già detto che il fattore importante psicodinamico nell'associazione libera è l'eliminazione del controllo cosciente sulle associazioni delle idee; se ne possono descrivere all'incirca le conseguenze. Per escludere certe tendenze dalla coscienza esiste, oltre alla repressione inconscia, un processo selettivo cosciente e volontario, chiamato «soppressione», il quale elimina ogni cosa anche lontanamente connessa col materiale inconscio. La soppressione elimina inoltre tutte le piccole cose che potrebbero distrarre l'attenzione dal fatto principale, che è il centro dell'interesse a ogni momento. L'eliminazione del controllo cosciente sulla successione delle idee è una tecnica facilmente acquisibile, e in realtà non è altro che un superamento della soppressione. Quando ciò è fatto, l'inconscio deve lottare soltanto con la repressione; e il materiale inconscio può perciò affiorare alla coscienza. La situazione è analoga a quella di una molla compressa tra due pesi. Se si toglie un peso, la molla scatta.

Soppressione        a          a+b= ammontare totale della forza che esclude dalla coscienza il materiale represso.                                                       Nel metodo dell'associazione libera a (soppressione) è eliminato, e così il                                                       materiale incoscio deve lottare soltanto con b (repressione).

Repressione         b  

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Tendenze represse 

3. Il transfert

È solo naturale che il paziente neurotico volga presto o tardi verso il suo medico i suoi tipici atteggiamenti neurotici. Nella psicoanalisi, questa ripetizione delle reazioni neurotiche viene favorita dal medico con l'incoraggiare il paziente a essere il più possibile se stesso durante le sedute analitiche. L'associazione libera non è in alcun modo, per il paziente, soltanto un procedimento intellettuale, giacché egli viene sempre più indotto a esprimere le proprie emozioni represse, e le indirizza verso l'analista. In un certo senso il processo dello sviluppo, nel trattamento analitico, viene capovolto. La maggior parte del processo della crescita si basa sulla repressione di attitudini incompatibili con la maturità. Lo sviluppo ideale di una personalità consiste nel modificare gradatamente, trasformare e utilizzare in una nuova forma accettabile, le originarie tendenze emotive, così da non dover reprimere nulla in maniera drastica. Ciò però non avviene mai, nemmeno negli individui più equilibrati. Molte reazioni emotive infantili vengono represse e conservate in forma inalterata in seno all'inconscio. Nella personalità cosciente, si osservano soltanto le difese mediante le quali quelle reazioni sono tenute a bada, e fuori dell'ambito della coscienza.

È importante aver presente che le repressioni, in ultima analisi, sono una conseguenza della disapprovazione dei genitori. Nel corso del trattamento analitico, a caiisa della prevalenza di un'atmosfera compatibile, questi fattori emotivi già repressi o almeno tenuti a bada per mezzo di inibizioni, sono indotti a manifestarsi liberamente. L'analista è il bersaglio naturale di queste emozioni regressive. Il nocciolo di tali reazioni è un atteggiamento di dipendenza. Esso è solo naturale, giacché il paziente viene a chiedere aiuto a qualcuno in cui ha fiducia. Il suo io cosciente si difende in vari modi contro tali desideri di dipendenza. Esso può cercare una sovracompensazione in un atteggiamento aggressivo, mediante il quale cerca di eliminare il senso di inferiorità cagionato da un'estrema dipendenza. Queste reazioni ostili aggressive possono causare un nuovo senso di colpa, che a sua volta può condurre a un comportamento provocatorio o a una deformazione masochista della situazione analitica. Il paziente non si sente colpevole se può provocare l'analista a esprimere una certa impazienza, o se riesce a considerare il trattamento come uno strumento di tortura.

Gli impulsi ostili possono anche venire rivolti contro l'analista, o contro lo stesso paziente, e portare così a manifestazioni depressive. In ciascun caso la reazione dell'io ai conflitti emotivi suscitati dal processo analitico, è caratteristica del paziente, e prende forme diverse nei diversi tipi di neurosi. Il paziente paranoico usa la proiezione. Il depresso rivolge la sua ostilità contro se stesso. L'affetto da neurosi di carattere comincia a tradurre in atto le forme della malattia in rapporto all'analista e al di fuori della situazione analitica. Il neurotico coatto si difende contro la propria ambivalenza, intellettualizzando e standardizzando la cura, facendone un rito. Nelle neurosi ansiose, la terapia può anche aumentare temporaneamente l'ansietà.

Tale ripetizione di schemi neurotici in rapporto all'analista, si chiama «neurosi da transfert». La sua guarigione viene considerata l'essenza della terapia psicoanalitica che consiste — così all'ingrosso — in due parti: lo sviluppo della neurosi da transfert, e la sua risoluzione. L'assumere un atteggiamento indulgente evitando ogni valutazione del materiale offerto dal paziente, basta dopo un po' ad incoraggiare lo sviluppo di una neurosi da transfert. Ciò non esige una fatica particolare da parte dell'analista; le prevalenti tendenze neurotiche esistenti nel paziente, hanno libero corso e si manifestano senza inibizioni.

Il vero problema terapeutico è la risoluzione della neurosi da transfert. Secondo me, noi stiamo migliorando la tecnica che ci consente di padroneggiare la neurosi da transfert, e i princìpi qui suggeriti non sono definitivi.

Nella prima teoria di Freud, la neurosi da transfert è una ripetizione meno intensiva dello schema neurotico originario, e contiene le reazioni infantili; ma si verifica nel rapporto col medico. La sua intensità è ridotta perché le emozioni di transfert sono reazioni a situazioni precedenti e non nascono dall'effettivo rapporto pazientemedico. La sola situazione reale tra il paziente e il dottore è il fatto che il paziente va a chiedere aiuto al dottore. Quando, nella mente del paziente, il medico prende il ruolo del padre, della madre o del fratello maggiore o minore, egli non è in realtà nessuno di costoro, e il rapporto di transfert riflette le deformazioni della situazione reale nella fantasia del paziente. Il paziente non psicopatico il cui io conserva la propria capacità di controllo, si rende conto del carattere fantastico del transfert, e ciò serve a ridurne l'intensità. I conflitti infantili si manifestano apertamente nelle reazioni personali con l'analista, e vengono affrontati dall'io adulto. Originariamente, quando ebbe luogo la prima repressione, il debole io infantile non poteva lottare con essi. Questi fattori quantitativi — e cioè il più forte io adulto che si trova a fronteggiare un'edizione più blanda dei conflitti originari — costituiscono la base dinamica del trattamento.

Tali concetti sono stati confermati da molti anni di esperienza. Ma vi sono altre considerazioni importanti, le quali mettono in grado il medico di affrontare il difficile problema di guarire la neurosi da transfert. Tutti questi fattori terapeutici sono quantitativi, ed erano usati dall'analista intuitivamente; solo di recente sono stati prospettati come parti integranti del trattamento psicoanalitico.

4. Fattori quantitativi nella terapia

È stato spesso detto che il transfert dovrebbe aver luogo al momento giusto e mantenuto a un giusto livello. Se l'involuzione emotiva del paziente è insufficiente, l'effetto della cura può venir molto ritardato, e l'analisi può diventare un puro esercizio cerebrale. Se d'altra parte, la neurosi da transfert diventa troppo intensa, l'io del paziente può trovarsi di fronte a una situazione simile a quella che non aveva potuto affrontare in passato. Allora egli sarà incapace di modificare il suo schema neurotico, adottandone uno più sano e maturo. Le funzioni integrative dell'io vengono ostacolte dall'emozione eccessiva. L'ansietà troppo violenta, l'ira o il senso di colpa possono diventare così formidabili da non poter essere padroneggiate dalle funzioni coordinate dell'io. Il problema è, come mantenere il transfert a un giusto livello.

Frequenza delle sedute. L'esperienza dimostra che la neurosi da transfert si sviluppa spontaneamente, quale conseguenza al continuo contatto col medico. La prospettiva di un trattamento prolungato favorisce la scarsa inclinazione del paziente a fronteggiare i problemi a cui era sfuggito rifugiandosi nella neurosi, o almeno a procrastinare il momento temuto. La neurosi da transfert perde presto molti degli aspetti sgradevoli della neurosi originale, perché si è visto che è una parte necessaria del trattamento, e i conflitti provocati dalle tendenze regressive vengono ridotti dall'atteggiamento dell'analista. Ciò consente al paziente di essere neurotico durante la cura senza un eccessivo conflitto. Non dobbiamo dimenticare che la neurosi da transfert si sviluppa naturalmente e che l'analista deve sforzarsi di controbilanciarla. Ridurre la frequenza delle sedute è uno dei mezzi più semplici atti a far sì che il transfert non divenga uno sfogo troppo violento per la neurosi del paziente; se le tendenze alla dipendenza vengono frustrate, esse debbono sfogarsi, e il paziente è costretto a resister loro coscientemente.

Non è certo cosa saggia generalizzare; per valutare come e quando ridurre la frequenza delle sedute, occorre esperienza e abilità. In molti casi è consigliabile vedere il paziente una, due o tre volte la settimana invece di tutti i giorni, per evitare che si stabilisca un senso eccessivo di dipendenza.

Interruzioni. Nei venti anni decorsi, furono fatti nella clinica esterna dell'Istituto psicoanalitica di Berlino esperimenti di Ei tingon, ad analisi intermittenti. Da allora questo espediente è stato usato sistematicamente nell'Istituto psicoanalitico di Chicago.

Un'interruzione più o meno lunga, se ben dosata, accresce la fiducia del paziente nell'applicare ciò che ha imparato durante il trattamento. Il neurotico è portato a evitare rinnovati tentativi di fronteggiare gli eventi della vita; egli si ritrae nella fantasia e così prendono forma i sintomi. Durante gli intervalli della cura il paziente attua la introspezione senza l'aiuto del medico. Ciò controbilancia la tendenza del paziente a posporre la soluzione del suo problema. Questo è uno dei forti ostacoli al perpetuarsi della neurosi da transfert. Le interruzioni debbono farsi, di solito, per tentativi, poiché non vi è un'indicazione chiara su quando il paziente sia pronto ad accettarle senza pericolo di ricaduta.

Esperienza extraanalitica. Dobbiamo ricordare che un'analisi non sostituisce la vita normale del paziente, ma ne è un complemento. I suoi rapporti continuano a svolgersi inalterati. Nel transfert si andrà incontro a molte delle sue necessità, il che può permettergli di comportarsi più razionalmente nella vita ordinaria. Uno dei modi più efficaci per controbilanciare l'inclinazione del paziente a perpetuare una comoda neurosi da transfert, è l'incoraggiamento di esperienze parallele a quelle che avvengono nel transfert. Il medico deve costantemente dirigere l'attenzione del paziente verso le sue relazioni esterne, e non permettergli di immergersi completamente nel pensiero della propria cura. Il paziente va dal dottore con dei problemi reali da risolvere, e consentirgli di metterli da parte, lo incoraggerebbe a ritirarsi dalla vita nella torre eburnea del transfert. È un errore supporre che un paziente possa posporre la soluzione dei suoi problemi effettivi per mesi o anni, immergersi nel mondo del transfert, e tornare all'improvviso, perfettamente riequilibrato, al mondo della realtà. Se il paziente riesce a superare le proprie resistenze, diventa capace di esprimere sempre più chiaramente le proprie tendenze neurotiche nel transfert. Tuttavia, ciò non vuol dire che abbia

imparato a modificarle. Questo è il vero problema terapeutico. Il processo analitico non può essere separato rigidamente in due parti, la prima delle quali incoraggia il transfert, e la seconda costringe a un ritorno alla realtà con atteggiamenti modificati. Le due cose debbono avvenire più o meno simultaneamente: è perciò molto importante incoraggiare esperienze similari in seno e, insieme, al di fuori dell'analisi. Quando il paziente muta il suo atteggiamento neurotico nei riguardi dell'analisi — se per esempio egli osa (contrariamente a quel che avveniva in precedenza) esprimere liberamente le proprie opinioni e rinnegare la propria dipendenza — dovrebbe essere incitato a comportarsi nella medesima maniera fuori dell'analisi, verso un principale, un padre, o un fratello maggiore. Bisogna esercitare sul paziente una costante pressione perché egli applichi ogni guadagno fatto in sede analitica alla sua vita, fuori dall'ambito dell'analisi. Ciò accade, entro certi limiti, automaticamente, ma la tendenza del neurotico è quella di dilazionare il momento di affrontare i suoi veri problemi. Ed è proprio questo che nel passato fece di lui un neurotico. Accrescere l'autofiducia dell'io e controbilanciare in tal modo la regressione, è uno dei più importanti problemi terapeutici, e può essere risolto soltanto con la pratica: le sole parole non bastano.

5. L'esperienza emotivocorrettiva

Deve essere ormai chiaro che l'essenza della terapia psicoanalitica consiste nell'esporre l'io cosciente alle emozioni represse che sono alla base della neurosi, e nell'insegnargli a conciliarle con le condizioni esterne e interne.

Nondimeno sarebbe uno sbaglio considerare quest'apprendi mìento elementare un processo intellettuale. Di solito al paziente è facile immaginare quale dovrebbe essere la reazione emotiva sana e logica a certe date situazioni. Egli non può applicare questa sua cognizione a causa della propria ansietà, della mancanza di fiducia, del senso di colpa o di un odio intenso, o di un amore possessivo. La terapia può essere paragonata a una specie di gin

nastica emotiva: l'io viene ripetutamente esposto ai suoi cruciali conflitti, e comincia ad agire in modo diverso. Solo di recente è stata fatta un'osservazione importante a questo proposito.

Gli schemi neurotici non si sviluppano nel vuoto. Essi sono reazioni di adattamento agli atteggiamenti dei genitori. L'esempio più semplice è la repressione di attitudini autoaffermative e aggressive dovuta a intimidazioni fatte dai genitori; repressione che incoraggia il senso di dipendenza, e causa ogni sorta di inibizioni nei rapporti umani. Quando il primo rapporto pieno di conflitti si ripete nel transfert, l'atteggiamento del medico deve annullare l'effetto intimidatorio dei genitori. Il medico può essere obbiettivo e pieno di comprensione, perché non è toccato emotivamente; e ciò permette al paziente di esprimersi con maggior libertà. L'intimidazione dei genitori viene corretta dall'atteggiamento più tollerante e solidale del medico, il quale sostituisce nella mente del paziente i genitori autoritari. Mano a mano che il malato si rende conto che la propria modesta autoaffermazione non verrà punita, egli si condurrà più arditamente. Nel medesimo tempo, può rivelarsi con maggior libertà a persone che hanno una certa autorità sulla sua vita attuale Ciò aumenta nell'io la capacità di fronteggiare attitudini aggressive che l'ansietà aveva precedentemente represse. Questo è in verità un processo molto più complicato, ma basta tale esempio per spiegare il principio dell'esperienza emotivo correttiva. Lo stesso principio viene applicato — mutatis mutandis — nei casi di indulgenza eccessiva da parte dei genitori.

Per riassumere, il principio dell'esperienza emotivocorrettiva è una regolamentazione coscientemenfe organizzata delle reazioni emotive del medico al materiale presentato dal paziente (controtransfert) in modo tale da controbilanciare gli effetti nocivi degli atteggiamenti dei genitori.

6. L'importanza terapeutica dei ricordi che tornano

Prima che Freud riconoscesse il significato del transfert, ma dopo che ebbe abbandonato l'ipnosi, il suo principale interesse si volse a ricostruire il primo sviluppo emotivo, col risolvere quella che chiamò «l'amnesia infantile». Nell'ipnosi catartica, i pazienti possono ricordare avvenimenti dimenticati connessi a emozioni represse che giacciono alla base dei sintomi. Quando Freud sostituì all'ipnosi l'associazione libera, egli tentò di far tornare nel paziente allo stato di veglia quelle lontane memorie. Era naturale che il suo interesse fosse, a quell'epoca, rivolto alla comprensione genetica delle neurosi e in genere allo sviluppo della personalità. Innanzi tutto, doveva indagare sulla storia naturale delle neurosi. Egli partì dal principio che il corso dei suoi studi dovesse comprendere anche lo svolgersi della terapia. Ambedue richiedevano il ritorno di ricordi dimenticati, e ciò per un certo tempo divenne il principale espediente terapeutico. Solo gradatamente egli riuscì a rendersi conto del significato terapeutico del transfert, e di quanto fosse importante, per il paziente, non solo ricordare, ma anche rivivere i suoi primi conflitti. La sua prima impressione però fu così forte da perpetuare la credenza nell'alto significato terapeutico della ricostruzione genetica.

Adesso noi sappiamo che il ritorno dei ricordi è un segno, piuttosto che una causa, di miglioramento. Siccome la capacità dell'io di fronteggiare le emozioni represse aumenta attraverso l'esperienza del transfert, il paziente è in grado di ricordare avvenimenti repressi, a causa delle analoghe implicazioni emotive. La possibilità di ricordare mostra quanto sia accresciuta la capacità dell'io nell'affrontare determinati contenuti psicologici. Questo cambiamento nell'io si è compiuto attraverso le esperienze emotive del trattamento — sebbene non possa negarsi che ricordare e comprendere l'origine degli schemi neurotici, ha anche un significato terapeutico e aiuta la reintegrazione di contenuti psicologici repressi nella personalità totale.

7. Introspezione intellettuale

È difficile fare delle dichiarazioni generali sull'efficacia terapeutica dell'introspezione di un paziente circa la natura e le origini della sua malattia. Si era soliti distinguere tre fattori terapeutici: abreazione, introspezione, e rielaborazione. «Abreazione» significa la libera manifestazione delle emozioni represse. L'introspezione si rilevava efficace soltanto quando coincideva con l'abreazione emotiva. Come diceva Freud: «Non si può battere un nemico, se non lo si vede». Il paziente deve sentire quel che comprende. Altrimenti potrebbe essere guarito da un libro di testo. La rielaborazione descrive la ripetizione di tutti i particolari dello schema emotivo — inclusi l'abreazione e la introspezione — durante l'analisi, quando le misure difensive dell'io vengono gradatamente ridotte. Essa consiste nello sperimentare e nel comprendere ciascun aspetto della neurosi, quale si rivela sotto la cura, e a mano a mano che diminuisce la resistenza del paziente a rivelarsi. Spesso nei pazienti possono osservarsi mutamenti nello schema emotivo, senza che essi vengano formulati intellettualmente dal medico o dal paziente stesso. L'esperienza emotivo-correttiva soltanto nel transfert può produrre buoni risultati terapeutici. Una comprensione puramente intellettuale delle neurosi ha di rado un valido effetto terapeutico. Dobbiamo tuttavia evitare generalizzazioni troppo superficiali.

Di regola la introspezione intellettuale basata su esperienze emotive e fusa con esse, stabilizza i miglioramenti emotivi ed è di complemento all'esperienza emotivocorrettiva. Inoltre la comprensione intellettuale attraverso l'interpretazione, facilita e prepara la strada all'esperienza emotiva. La comprensione dà al paziente il senso della padronanza e lo incita a rivelarsi dal lato emotivo. L'io è preparato ad affrontare le emozioni represse, ne conosce sin da prima la natura, e non è colto di sorpresa, quando esse affiorano effettivamente alla coscienza. L'intellettualizzazione, tuttavia, non deve venire spinta troppo lontano. L'interpretazione del contenuto può in realtà ritardare l'analisi, specie nei neurotici ossessivocoatti. Sostituire la comprensione alla sensazione, è una difesa caratteristica della personalità coatta. In questi casi si deve compiere ogni sforzo perché il paziente sperimenti emotivamente la sua fondamentale ambivalenza, e per promuovere l'esperienza emotivocorrettiva, attraverso ben predisposti atteggiamenti dell'analista.

8. L'interpretazione dei sogni nella terapia psicoanalitica

La psicoanalisi per la sua natura stessa mobilita le forze represse. L'intera terapia è basata sulla manifestazione di desideri, idee e impulsi repressi. Soltanto in questo modo può effettuarsi la loro reintegrazione.

I sogni esprimono desideri e senso di colpa esternamente o interiormente frustrati, mediante i quali il paziente reagisce alle sue tendenze avverse. È solo naturale che un trattamento il quale mobilita il materiale represso, stimoli i sogni. Molti pazienti che affermano di non sognare quasi mai o di non poter ricordare i propri sogni, quando vengono sottoposti alla cura analitica, cominciano in ogni seduta a raccontare i loro sogni, lo studio dei quali dà accesso direttamente al contenuto inconscio.

Il significato del primo sogno narrato da un paziente è stato spesso messo in rilievo. Il paziente viene a cercare aiuto dal medico e apprende che può ottenerlo soltanto rivelando i particolari più intimi della propria vita. Egli è preso tra tale necessità e una forte resistenza a esporre cose che non ha potuto sinora ammettere nemmeno di fronte a se stesso. Il primo sogno è spesso un prodotto di questo conflitto. L'esempio seguente, narrato dopo la seduta preliminare, può illustrare la verità di quanto affermiamo.

Il paziente era un giovane studente, il quale era stato inviato da suo padre a un'università lontana da casa sua. Egli era stato per molto tempo un pigro, incapace di lavorare. Stava a letto sino a mezzogiorno a leggere libri gialli a buon mercato, e nel pomeriggio frequentava sale di ritrovo e giuocava al bigliardo, ma non aveva contatti sociali di qualche importanza, né relazioni con ragazze. Viveva una vita del tutto priva di scopo. Si sarebbe potuto chiamare un giovane estremamente pigro, ma la sua pigrizia era l'espressione di una latente neurosi coatta. Nella seduta preliminare giustificò la propria pigrizia con un argomento peculiare. Affermò che suo padre non lo aveva mai amato, né si era curato di lui, e non gli aveva mai regalato oggetti di valore. Poiché la sua pigrizia era il risultato di una cattiva educazione, il padre doveva sopportarne le conseguenze e mantenerlo. Egli non si sentiva in obbligo di rendersi indipendente. Questa naturalmente non era proprio tutta la verità; in tal caso, egli non sarebbe mai ricorso a me. L'argomento da lui presentato era una razionalizzazione della sua incoercibile pigrizia, in preda alla quale si sentiva depresso e disperato. All'inizio della prima seduta analitica, mi narrò il sogno seguente:

«Volevo vendere il mio anello di brillanti, ma il gioielliere, dopo aver provato la pietra, disse che era falsa.» Il paziente notò immediatamente che il sogno era sciocco, perché egli sapeva bene che il suo anello era autentico. Nel corso di ulteriori associazioni, venne fuori che l'anello era un dono del padre. Il contenuto di questo sogno non potrebbe essere compreso come l'appagamento di un desiderio, senza essere a conoscenza dell'atteggiamento del paziente verso il genitore. La sua formula favorita era: «Io non ho avuto da mio padre nessuna cosa di valore, e perciò non ho bisogno di darmi da fare. Mio padre vuole che studi, ma io non gli debbo nulla.» Era necessario per lui credere in ciò che diceva per scusare la propria pigrizia è il proprio atteggiamento passivo verso la vita. L'anello di brillanti che aveva avuto in regalo dal padre, aveva un valore effettivo. Nel sogno tuttavia mostrava che anche quel dono paterno era falso. Iniziò la sua analisi difendendo la propria condotta.

L'importanza del sogno consiste nel fatto che esso ebbe luogo dopo la decisione presa dal giovane di intraprendere la cura analitica. Era un segno di resistenza, perché nel sogno il paziente voleva dimostrare la verità della sua teoria sulla vita, che l'analisi avrebbe potuto distruggere. Soltanto circa un anno dopo, io potetti servirmi di quel sogno, il quale esprimeva l'aspetto basilare neurotico del paziente. Egli fu costretto da circostanze esterne a interrompere l'analisi una settimana dopo averla iniziata, perché dovette trasferirsi in un'altra città. Gli consigliai di continuarla con un collega che risiedeva lì. Sei mesi dopo, il giovane tornò da me, ma io non avevo tempo disponibile e gli indicai un mio collega. Pochi mesi dopo era di nuovo nel mio studio: affermò di non poter continuare la cura con l'analista da me raccomandatogli perché sentiva di essere antipatico al medico, di esserne anzi detestato, sebbene non potesse davvero lamentarsi di nulla.

Al contrario, l'analista era sempre gentile ed educato con lui, e negava di nutrire sentimenti ostili a suo riguardo. Egli tuttavia aveva la sensazione che quella cortesia fosse solo una maschera, la quale nascondeva i veri sentimenti dell'analista. Mi chiese di riprenderlo in cura, e io telefonai al collega per sentire quel che ne pensava. Con mia grande sorpresa egli confermò la dichiarazione del paziente, dicendo che veramente sentiva per lui una profonda antipatia. Aveva cercato di celare questo suo sentimento, ma non vi era riuscito e mi pregava di continuare l'analisi. Accettai e, subito dopo aver iniziata la cura, compresi i sentimenti del mio collega. Il paziente era davvero la persona più sgradevole che possa immaginarsi.

Di solito veniva alla seduta non lavato, con la barba lunga, e sudicio; si mangiava le unghie, parlava borbottando in modo appena intelligibile, criticava tutto, e pagava un onorario bassissimo. Se lo facevo aspettare un minuto, immediatamente mi accusava di agire in tal modo perché egli pagava meno degli altri clienti. Era insomma spiacevole sotto tutti i punti di vista, ed era diffìcile avere per lui qualche simpatia. Un giorno mi accadde di rispondergli in tono un po' impaziente. Egli saltò su dal lettuccio, ed esclamò: «Voi siete proprio come il vostro collega. Non potete negare che io non vi piaccio! E chiamate fare un'analisi, mostrarvi impaziente col vostro malato?» Io risposi: «Avete ragione, ma come potete aspettarvi di riuscir simpatico a chicchesia, comportandovi come fate? Credete forse che un analista non abbia emozioni e reazioni genuine?» Poi gli spiegai che tutta la sua condotta era calcolata per provocarmi, per indurmi a detestarlo, e stabilire con me lo stesso rapporto che aveva avuto da ragazzo con il padre. Egli voleva provare che l'analista non lo amava (proprio come aveva pensato del padre), e che alla fine non aveva ricevuto dall'analista niente che avesse un vero valore. Finalmente, gli ricordai il suo primo sogno sull'anello di brillanti, nel quale egli aveva voluto dimostrare che l'anello — dono del padre — era falso. Tale esperienza emotiva e la sua interpretazione rappresentavano il punto cruciale di una cura diffìcile che potette poi essere continuata con esito felice.

La parte più importante della cura spesso consiste in una specie di dialogo tra l'analista e l'inconscio del paziente. Se l'interpretazione che l'analista fa di un sogno è ancora inaccettabile da parte dell'io del paziente, egli può rispondere con un altro sogno che respinge la interpretazione proposta. La natura del rifiuto può offrire al medico un mezzo valido per intendere il ca rattere della resistenza del paziente.

Illustreremo quest'idea in modo più concreto, mediante un esempio. Il paziente era un vecchio medico cinquantenne, il quale soffriva di una grave forma di neurosi coatta e di fobia. Era un medico eccellente, abilissimo, e se la sua carriera era stata mediocre, ciò era da addebitarsi soltanto alla neurosi. Aveva una larga clientela in un rione povero della città. In una delle prime sedute, parlammo dei suoi rapporti col fratello maggiore. Egli ne parlò in tono di grande rispetto e ammirazione, soffermandosi sul fatto che suo fratello era stato sempre molto buono verso di lui. Era un uomo di affari che aveva guadagnato molto denaro e aveva aiutato il mio paziente con tatto e generosità. Per esempio, lo aveva spinto a investire denaro nella propria azienda, e gli pagava un alto tasso di interesse. In effetti, l'azienda non aveva alcun bisogno di altro capitale, ma in tal modo quell'uomo poteva aiutare il fratello, pur avendo l'apparenza di ricevere un favore da lui. Il mio paziente aveva degli scrupoli di coscienza nell'accettare questo aiuto finanziario mascherato, e aveva spesso riflettuto se non sarebbe stato bene, da parte sua, porvi fine. Anche per altri lati si sentiva colpevole verso il fratello, e durante l'analisi lo manifestò chiaramente, in parecchie maniere.

Io cercai di renderlo cosciente dei motivi repressi, che giacevano dietro questa sua inquietudine di coscienza. Posi in rilievo la sua invidia per il successo del fratello, e il fatto che anche nell'infanzia egli lo aveva considerato come un rivale. Lo negò, e non avrebbe voluto ammettere alcun sentimento ostile. Più e più volte, insisté sul sincerò sentimento di gratitudine che nutriva per il fratello. Nondimeno, la mia interpretazione fece nascere in lui un senso di colpa, e nella seduta successiva vi reagì con il sogno seguente:

«Io incontro il mio collega N. per strada, ed egli mi chiede di sostituirlo, e di andare a visitare uno dei suoi malati più importanti: un senatore.» Gli chiesi quale idea gli suggerisse l'eventualità di sostituire un collega nella professione, ed egli rispose: «Oh, è una vera seccatura! È un favore che bisogna pur fare a un amico, se ve lo chiede, ma a me non piace affatto farlo.» Poi gli chiesi di parlarmi del collega; e dalle sue associazioni venni a sapere che N. era un medico molto in vista, vecchio amico e compagno di scuola del mio paziente, e aveva avuto un successo professionale assai maggiore del suo. Viveva in un rione elegante, e col passar del tempo, i due amici si erano visti sempre meno.

Allora gli spiegai che il sogno esprimeva un sentimento di invidia repressa verso il collega. Nel sogno, costui lo aveva pregato di visitare uno dei propri pazienti, ma in realtà egli avrebbe voluto trovarsi al posto del collega. Nel sogno, nascondeva tale desiderio facendo sì che l'altro chiedesse a lui un favore, e rappresentava il suo effettivo desiderio di portar via la clientela al collega, sotto la veste di un favore da fargli. Dapprima il mio paziente non voleva accettare la mia interpretazione e si difese con i medesimi argomenti da lui adoperati nel sogno; e cioè, che sostituire il collega era per lui un compito sgradevolissimo. Ma in seguito, a poco a poco, ammise che riteneva cosa ingiusta il fatto che il collega — inferiore a lui come sapere — avesse una bella clientela,, e che sovente egli si paragonava a lui e pensava di meritare un maggior successo. Quando divenne conscio della sua invidia repressa verso il suo amico N., io fui in grado di riprendere un argomento discusso in una precedente seduta analitica: i rapporti, cioè, tra il mio paziente e il suo fratello maggiore. Gli dimostrai che egli aveva trasferito l'intero conflitto dal fratello al collega, perché i suoi sentimenti verso quest'ultimo erano simili, ma meno riprovevoli.

Il vantaggio di tale transfert era evidente. Il conflitto emotivo col collega era identico, come qualità, ma molto meno intenso. Era meno riprovevole, infatti, invidiare un collega, che non invidiare il proprio fratello, che lo aveva sempre aiutato ed era stato con lui così buono. N. si comportava nel sogno esattamente come il fratello nella realtà. Gli cedeva un malato molto importante, ma lo faceva con l'aria di chiedergli un favore. Mediante l'interpretazione di questo sogno, io guadagnai molto terreno rendendo chiara al paziente la sua invidia, e verso il collega, e verso il fratello. Mi fu possibile in tal modo convincerlo, almeno intellettualmente, che la sua colpa nei riguardi del fratello si basava su sentimenti repressi di ostilità e di invidia. Nelle sedute successive, egli produsse un materiale di conferma, traendolo dai ricordi dell'infanzia concernenti la sua rivalità col fratello maggiore.

I sogni danno la miglior valutazione possibile di quel che è la situazione psicodinamica in ogni fase del trattamento. Essi rivelano inoltre la relativa forza del conflitto in seno all'accresciuta capacità dell'io a fronteggiare il materiale già represso, e indicano il grado di miglioramento dovuto alla cura. Le sequenze del sogno nell'analisi scoprono le progressive realizzazioni integrative dell'io; ciò che Freud ha chiamato la «funzione risolutrice dei problemi» del sogno. Egli illustra quanto sopra citando due sogni, tratti da un'analisi fatta da una donna. Il primo di questi era il primo sogno riferito dal paziente durante l'analisi. Esso venne narrato nella decima seduta analitica. Durante le prime sedute, il paziente aveva trovato diffìcile parlare liberamente delle proprie faccende personali, ed era in grandissimo disagio, a causa di un grave attacco di asma. Nella sesta seduta, egli provò un gran sollievo, quando infine potè sfogare liberamente il proprio risentimento contro la moglie, che era — diceva lui — grassa, sporca, litigiosa e trascurava i due suoi figli e lui stesso.

Nella nona seduta l'analista mostrò di interessarsi ai suoi sogni, e nella decima il paziente narrò il sogno seguente, facendolo precedere dall'osservazione: «Ecco quel che volete».

«Ho sognato di quando andavo a scuola. Una fine settimana, stavo andando a casa: noi andavamo sempre a piedi, sino a che qualcuno non ci prendeva su. Camminai solo sino a che giunsi a un ponte. Là, appoggiata al ponte, c'era una ragazza che osservava le barche. Mi fermai, le diedi un pizzico dietro e ci avviammo verso casa. Sua madre le venne incontro, mi ringraziò, mi invitò a entrare e mi diede un bicchiere di latte.» L'altro sogno, narrato sei settimane dopo, trattava più apertamente il medesimo, problema. « Stavo camminando per strada. Un gruppo di persone stava scavando il terreno sulla strada stessa. Giunsi a un cantone e vidi una ragazza che da principio mi sembrò una bambina. Essa portava un grande secchio da latte, colmo d'acqua. Stava in piedi accanto a una bocca da incendio, e mi pregò di aiutarla a portare a casa il secchio. Allora si mutò in una donna adulta. Presi il secchio del latte da un lato, e lo portammo a casa. Mi ringraziò e mi offrì un bacio. Io la baciai, la abbracciai, e mi svegliai.» In seguito, aggiunse: «Mentre ci stavamo abbracciando, sua madre la chiamò, ci separammo e io andai a casa».

Senza riferirci alle associazioni, è evidente che in questo sogno il paziente avverte entro di sé un conflitto tra gli impulsi sessuali e la paura del rimprovero materno. È chiaro che anche nel primo sogno esisteva un conflitto tra i desideri sessuali e il timore della disapprovazione materna. Evidentemente gli impulsi sessuali erano suscitati dal trattamento analitico fatto da una donna, e avevano provocato un conflitto in ciascuno dei due casi. Sebbene il conflitto fondamentale sia il medesimo nei due sogni, si noterà che nel secondo il paziente segue più arditamente i propri impulsi sessuali. Nel secondo sogno, è solo dopo aver baciato la ragazza che sopravviene la paura della madre, e lo induce a lasciare che la ragazza torni da lei. Nel sogno precedente, egli interrompe le sue avances erotiche immediatamente dopo un pizzico scherzoso, e accompagna la ragazza a casa dalla madre.

In tale differenza, è facile scorgere l'aumentata fiducia del paziente nell'atteggiamento gentile e indulgente dell'analista. Il paziente può continuare a difendersi contro l'indagine iniziata dall'analisi, e cercare di velarne l'oggetto mediante mezzi vari di autoinganno. L'analista neutralizza tale tendenza col correggere costantemente tutti questi autoinganni. A mano a mano che il paziente comincia a veder più chiaro dentro di sé, diventa sempre più difficile per lui ignorare quel che vede. «La voce dell'intelletto è sommessa, ma persistente.» (Freud).

Come questa lotta contro la introspezione si rifletta nei sogni è stato già illustrato sopra, nel sogno che esprime la resistenza dell'io a un'interpretazione che il paziente non è ancora pronto ad accettare. Mentre il processo psicoanalitico progredisce, il conflitto neurotico, sotto la pressione dell'introspezione, diviene sempre più circoscritto e isolato dal resto della personalità, in un processo paragonabile al sequestro. L'esempio seguente può illustrare tale fenomeno. Un paziente, dopo alcune sedute analitiche nelle quali era stato costretto a riconoscere la propria repressa avidità, cadde in uno stato ipnagogico; e in una fantasia gli parve di vedere dell'oro nel cortile del vicino, e se stesso in atto di raccoglierne una grande quantità e di ammassarla nella parte posteriore della sua macchina. Era in uno stato di dormiveglia, e gli passò per la mente il pensiero: «Che posso fare con tutto quest'oro? È proibito ammassarlo, e io ne posseggo abbastanza; perché accumularne più di quanto possa poi adoperarne?». Questa riflessione tardiva dimostra che nemmeno nella fantasia egli poteva appagare il desiderio di aver tutto per sé, e che respingeva la propria insaziabile avidità. Il desiderio di prendere e di tenersi le cose, per il gusto di accumularle, non è da persona adulta. La personalità matura respinge queste tendenze pregenitali, le quali hanno avuto un ruolo legittimo nell'organismo in crescita. Qui può osservarsi in atto l'isolamento del conflitto, giacché il paziente reagisce prontamente con l'indagare attentamente la sua fantasia acquisitiva.

Riscontrammo un'altra manifestazione di questo processo di isolamento in un sogno nel quale egli stava quasi per fare un'autopsia sul corpo di un idiota. Ne risentiva qualche ansietà. Il paziente riconobbe immediatamente che l'idiota rappresentava una parte di se stesso: e cioè, le emozioni irrazionali che aveva imparato a comprendere, ma che non erano del tutto morte e ancora lo minacciavano. Una parte della sua persona, vuol dire qualche cosa che vive al di fuori di lui è in procinto di morire. La parte dominante della personalità è quella che osserva i meccanismi neurotici con curiosità e da una certa distanza.

I sogni di isolamento che indicano un effettivo miglioramento, debbono venire distinti da quelli in cui il paziente pretende di esser migliorato per compiacere il suo analista. I veri sogni di isolamento hanno luogo nella fase conclusiva del trattamento. Il comportamento del paziente mostra un notevole miglioramento, che si manifesta in diverse maniere; nei rapporti umani e in un mutato atteggiamento del malato verso se stesso. Egli è capace di atteggiamenti più distaccati, talvolta persino divertiti. L'umorismo implica distacco e tolleranza, ed è possibile soltanto quando l'io si sente relativamente sicuro. Sino a che è debole deve proteggersi, mediante la repressione e la protezione, da ogni cosa che possa toccarne l'integrità. I due processi — di isolamento e di umorismo verso se stessi — indicano sicurezza e obbiettività. I sogni di sequestro sono dunque indicazioni valide dell'equilibrio esistente tra l'io e le tendenze avverse, e hanno luogo quando l'io riconosce apertamente simili tendenze e comincia a scartarle, o ad assimilarle in forme modificate. Essi indicano che l'io conserva la propria integrità anche quando si rende conto delle tendenze avverse. Queste ultime diventano parte della personalità cosciente che le padroneggia per mezzo del controllo, della rinuncia e della modificazione, ma non ha più necessità di negarle o di reprimerle.

III. sommario

La psicoanalisi mira a migliorare la capacità dell'io di trattare i conflitti interni ed esterni. Il fallimento dell'io è causato dalla precedente repressione di impulsi contrastanti, quando il loro soddisfacimento poteva essere raggiunto mediante sforzi continuati. Sotto l'impressione della sconfitta, l'io si ritrae da ulteriori tentativi; e per restaurarlo, occorre ripristinare la perduta fiducia dell'io medesimo nell'affrontare nuove prove. La psicoanalisi vi riesce, esponendo di nuovo l'io del paziente ai conflitti dà esso precedentemente repressi. Lo fa non solo per mezzo della ricostruzione intellettuale, ma portando il paziente a provare di nuovo emotivamente i conflitti insoluti, in condizioni più favorevoli. Questo riesperimentare ha luogo sia nel transfert che nelle altre relazioni del paziente, il quale rimane però sempre sotto il controllò e la guida del medico. Il nocciolo del trattamento giace nella situazione di transfert. Il più importante fattore terapeutico è che la risposta dell'analista alle reazioni neurotiche del paziente, è diversa da quelle delle persone con le quali erano in origine connessi i conflitti. L'atteggiamento obbiettivo e pieno di comprensione del medico, è per il paziente una risposta interamente nuova. Nessuna relazione nella vita reale è del tutto così obbiettiva e piena di comprensione, o tesa esclusivamente ad aiutare l'altro. L'esperimento correttivo può essere reso anche più efficace, se il medico assume un atteggiamento opposto a quello dei genitori, causa dello sviluppo della neurosi.

Non vi è dubbio che l'indagine intellettuale aiuta e stabilizza il nuovo orientamento dell'io. L'atteggiamento dell'analista incoraggia il paziente a mutare la propria condotta, che originariamente era condizionata dai genitori. Ciò spiega perché il solo fatto di stare ad ascoltare il paziente con spirito di comprensione, può condurre in qualche caso a un notevole miglioramento. Tuttavia un'adeguata interpretazione e un appropriato atteggiamento emotivo verso il paziente, non solo accelerano la cura, ma sono, nella maggior parte dei casi, indispensabili. Senza tali misure, il semplice ascoltare prima o poi condurrebbe a delle complicazioni emotive. Quasi tutti i pazienti sono inclini a coinvolgersi automaticamente in conflitti di transfert, la cui soluzione richiede interpretazione e una deliberata creazione, in sede di cura, di un'atmosfera emotiva la più favorevole possibile. Tutto ciò, in ultima analisi, mira a incoraggiare le esperienze emotivocorrettive, atte ad annullare gli efletti traumatici delle precedenti esperienze patogeniche.

Infine deve essere messo in rilievo che la teoria psicoanalitica e la pratica, sono ora in corso di sviluppo. Per favorire il quale è della massima importanza una continua revisione di supposizioni teoretiche e di generalizzazioni così come il continuare a fare esperimenti, secondo opportuni procedimenti terapeutici.